lunedì 24 settembre 2012

"Non è vero, ma ci credo." ... oppure no???

Matilde Serao diceva che la scaramanzia nacque a Napoli, mischiando credenze e superstizioni delle altre popolazioni, e portandole all'eccesso. Processo dovuto all'ignoranza e alla credulità dei Napoletani del XVIII secolo, crogiolo di sventure e calamità.




Ad essa è legato il culto degli amuleti contro la sfortuna: si va dal diffusissimo corno rosso anti-malocchio, alle corna, passando per l'aglio e gli atteggiamenti grotteschi dovuti alla paura.
Ormai la scaramanzia è un marchio legato a Napoli, e ha messo radici sino a diventare parte integrante del folklore e della commedia alla napoletana. Non a caso uno dei simboli di questa città, Totò, ha interpretato lo jettatore, ovvero lo sfortunato possessore della sfortuna, alla larga dalla quale deve stare la popolazione.

Tuttavia sto constatando che spesso si tratta di abitudine e non di vera credenza, come un'osservanza alla propria cultura. Gli stessi giornalisti partenopei, mostrando osservanza alla superstizione, chiesero al leader del Napoli Calcio, Marek Hamsik, se fosse preoccupato di indossare il numero 17, storicamente carico di sfortuna (risale addirittura agli Egiziani...), ma il giocatore vede nel numero il suo portafortuna. Ironia della sorte, sta portando davvero fortuna!

Alla stazione di Montesanto della metropolitana c'è un bel graffito raffigurante un corno rosso dalle sembianze umana e la scritta: Non è vero, ma ci credo. Chiaro il riferimento all'omonima commedia di De Filippo

E proprio parlando con alcune persone, di varie generazioni, ho riscontrato l'applicazione pratica di questo concetto. Mi sembra che la scaramanzia sia diventata una specie di gesto involontario, come un riflesso condizionato.
Una signora di mezza età di mia conoscenza mi ha fatto vedere il suo gatto tutto nero, ma con una strisciolina bianca sul dorso. Ha detto: "non sono scaramantica, ma un poco bisogna esserlo...giusto un pò...". Facile immaginare che non avrebbe preso il gatto se fosse stato interamente nero.

L'imbianchino che ha lavorato a casa mia, ha detto chiaramente che non sarebbe passato sotto la scala dell'impalcatura che occupava tutto il corridoio. Ha preferito spostare tutta l'impalcatura e poi passare. Gli ho chiesto il perché di quell'attegiamento, e ha risposto: "Non si può mai sapere..."



E se la scaramanzia pervade la vita quotidiana, come può mancare nel tifo della squadra della città più folkloristica d'Italia? Allo Stadio San Paolo, in occasione della partita di Champion's League del 2012, Napoli - Chelsea, alcuni tifosi hanno pensato bene di munire lo stadio di un corno gigante scaccia-sfortuna. E direi che ha portato bene...la partita finì 3 a 1 per gli azzurri!


Ho chiesto ad alcuni bambini che giocavano a pallone in piazza se credessero alla sfortuna, ma evidentemente, non avevano mai sentito parlare di scaramanzia. E sono tornati a giocare a pallone. Sembrerebbe che con il passare del tempo si sta perdendo quest'usanza della scaramanzia, basti pensare che anche chi ci crede ormai non è più schiavo di essa, come accadeva nell'Ottocento, quando esisteva addirittura la professione del Cacciatore di Malocchio.
Rivolgendo la stessa domanda a un vecchietto in metropolitana, ho ottenuto una risposta geniale: "so tutte fessarìe!".
Il progredire della società e il diffondersi della cultura ha maturato un atteggiamento più razionale della gente nei confronti della scaramanzia, senza però abbandonarla del tutto. Il rispetto della tradizione e il gusto per il folklore fa sopravvivere l'antica superstizione, magari con qualche grattatina qua e là e con qualche semplice accorgimento. Perché, tutto sommato, come disse Edoardo De Filippo, 

  "essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male."



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